C’è una “Pompei africana” da riportare alla luce: in Eritrea entrano in azione gli archeologi italiani

L'antico porto di AdulisL'area dell'antico porto di Adulis (foto dal sito Explore Eritrea)

Una squadra di archeologi tutta italiana sta portando alla luce, dal nulla e a prezzo di grandi fatiche, il leggendario porto di Adulis, gemma del deserto persa nei meandri del tempo, dove la storia e il mito si attraggono a vicenda come dune di sabbia spostate dal vento. La città, sita sulla costa sud occidentale del Mar Rosso eritreo, è avvolta nel mistero. Da fiorente capitale commerciale del regno di Axum (considerato dal profeta Mani uno dei quattro più potenti imperi della terra) ed esotico crocevia fra i colori e le civiltà di Mediterraneo, Africa e Asia, dal VII secolo d.C. non se ne sa più nulla. Prevale fra gli archeologi l’ipotesi del cataclisma naturale, motivo per cui si è guadagnata il nome di Pompei d’Africa.

La missione, diretta dal Centro Ricerche sul Deserto Orientale (Ce.R.D.O.), sta lentamente riesumando da strati di fango, sabbia e arbusti una città di quaranta ettari, interamente in pietra e in condizioni praticamente perfette. Tante le implicazioni e le scoperte già avvenute, specialmente a testimonianza della precoce cristianizzazione del Corno d’Africa, ma stupisce per importanza il ritrovamento, nell’ultima campagna del 2018, di una chiesa bizantina di grandi dimensioni, databile al V-VI secolo d.C., e della Porta Occidentale della città, dove si trovava il mitico Trono di Marmo di Adulis, reliquia cantata per la sua straordinaria bellezza e oggi andata perduta.

I ritrovamenti sono stati resi possibili grazie a una solerte collaborazione fra i Musei di Asmara e Massaua, il Ministero degli Affari Esteri, il fiore all’occhiello degli atenei italiani (Politecnico di Milano, Università Cattolica, Università Orientale di Napoli e Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, che ospiterà nel prossimo novembre un’esposizione archeologica sugli scavi attualmente presente al Museo Castiglioni di Varese), e il contributo di Piccini Group come main sponsor privato. «Siamo solo all’1% del lavoro – sostiene la dottoressa Massa, docente presso il dipartimento di Archeologia alla Cattolica – Adulis è un tesoro in continua scoperta e in casi del genere i fondi non bastano mai. Nel 2010 i fratelli Alfredo (scomparso nel 2016, ndr) e Angelo Castiglioni trovarono per intuizione l’area di scavo, che a occhio nudo sembrava un semplice deserto. Ora il nostro sogno è di creare un parco archeologico per rendere conoscibile a tutti questo splendido sito. Abbiamo spesso lavorato in condizioni estreme, ma è un orgoglio rappresentare l’eccellenza del proprio Paese, e poter condividere aspetti valoriali e culturali con il popolo eritreo, a noi storicamente molto vicino».

Secondo le ipotesi di Angelo Castiglioni, titolare del progetto e ricercatore di chiara fama, è molto probabile che l’area dove sorge Adulis coincida con la ancora più mitica Terra di Punt, risalente a quattromila anni fa e citata dagli egizi per il suo splendore e la sua ricchezza. Si continua a scavare.

Fonte: take Agenzia Ansa

Risorse esterne:
Il museo Castiglioni di Varese
La biografia dei fratelli Castiglioni
Adulis, la città perduta (mostra temporanea)

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