Si chiude l’era Berlusconi, il Milan diventa cinese

Finita l'era di Berlusconi al MilanIl primo Milan di Silvio Berlusconi, quello di Nils Liedholm. Qui un incontro a Milanello (foto d'archivio)

Si chiude un’era. Il Milan di Berlusconi, piaccia o non piaccia, ha cambiato il corso della storia del calcio italiano. E non solo di quello. I numeri sono eloquenti: in questi 31 anni nella bacheca rossonera sono stati stipate tre decine di trofei, tra i quali 8 scudetti, 5 coppe dei campioni e 2 intercontinentali. Ma non sono le cifre abbinate ai successi a spiegare fino in fondo che cosa è stato il Milan di Berlusconi. Del resto il club aveva vinto anche prima del Cavaliere. A fare del racconto di questi lustri una storia, invece, sono proprio le modalità d’ingaggio che l’ex presidente del Consiglio ha introdotto nel mondo del calcio, prima italiano e poi internazionale.

Anni ’80, il pallone nostrano usciva a stento dal Totonero (quello di Trinca e Cruciani) provando a cancellare gli scandali con la faccia pulita degli eroi di Madrid, che nell’82 vinsero il Mondiale accompagnando la più salvifica delle amnistie sportive, permettendo la riabilitazione di radiati e squalificati come mai più sarebbe accaduto. Il Milan, dopo lo scudetto della stella con Rivera capitano nel 1978/’79, si era infilato in un tunnel apparentemente senza uscita. L’onta della B e lo spettro del fallimento con la presidenza del vicentino Giussy Farina fecero da amaro antipasto alla discesa in campo (quella sì) di Berlusconi che rilevò il club nel 1986. Vennero gli anni di Sacchi, una scommessa stravinta ma all’epoca un azzardo, e dei tanti campioni che vestirono rossonero: da Gullit a Van Basten, da Donadoni a Rijkard passando per Galli, Massaro e le bandiere Baresi e Maldini.

La data della svolta è quella del primo maggio 1988: il Milan vinse al San Paolo contro il Napoli di Maradona agguantando il primo scudetto della gestione Berlusconi. Di quella partita fu detto e scritto tanto, contemplando sospetti di ogni tipo sul risultato finale, compreso un intervento della camorra interessata alle scommesse sulla gara. Nulla venne mai provato, Maradona diede l’anima quel pomeriggio ma non servì. Era solo, più di mezza squadra marcò visita perché fuori uso. Il Milan di Sacchi conquistò la testa della classifica al fotofinish, dando la stura al triennio d’oro che gonfiò petti, bacheca e casse del club rossonero.

Lo snodo è tutto in quella partita, in quella stagione, in quel successo. Berlusconi, quel primo maggio, arrivò in tribuna pochi secondi prima del fischio d’inizio e, a chi scrive, concesse poche parole: «Sarà una bella partita, perché sono le due squadre più forti. Vinca il migliore». Quasi trent’anni dopo la sfumatura di quella frase suona come una profezia, anzi come un progetto che prendeva forma in quel momento ineluttabilmente. Sì perché in quegli anni il Milan sembrò proprio di un altro pianeta, dentro e fuori il campo. Lo staff guidato da Galliani con al fianco l’eterno Ramaccioni garantì al Cavaliere il meglio in circolazione. Vestirono la maglia rossonera i più, compreso Nando De Napoli che con Maradona e nella Nazionale era titolare ma che andò al Milan per soldi più che per gloria finendo in panchina e ancor più in tribuna dopo i fasti azzurri. Berlusconi pagava meglio degli altri, nessuno in Europa poteva garantire ingaggi così allettanti. Anche da lui partì l’idea, divenuta realtà qualche anno dopo, di una super lega europea tra grandi club, l’attuale Champions League. Un’altra svolta, capace di moltiplicare gli introiti ai club più blasonati a suon di diritti televisivi e marketing.

I trenta e passa anni di Berlusconi e del suo Milan hanno sovvertito le logiche al ribasso del calcio anni ’70, trasformando in business e spettacolo televisivo tutto quello che gravitava nei pressi del rettangolo verde. Certo, i danni collaterali di tutto questo sono chiari ed evidenti, probabilmente insanabili. Ma è innegabile che il trentennio del Milan sia stato un paragrafo e non una parentesi nel libro di storia che il calcio scrive da oltre un secolo e mezzo. Il declino del politico prima ancora che del presidente di calcio e l’assottigliamento delle risorse finanziarie familiari hanno contribuito invece a scrivere la cronaca di questi mesi. Compresi il closing-farsa e gli impronunciabili nomi dei cinesi che ora sono i nuovi titolari della ditta. Una cosa è certa: a Milanello da oggi nulla sarà più come prima.
©RIPRODUZIONE RISERVATA

Articolo pubblicato dai quotidiani locali del Gruppo Espresso il 14 aprile 2017

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