De Luca, il sindaco che nessuno fece ministro

di Angelo Di Marino
Che Vincenzo De Luca potesse entrare a far parte di un governo targato centrosinistra era cosa nota ai più. Che venisse nominato viceministro dopo essere stato messo da parte al primo giro (quello più importante) in un esecutivo Pd-Pdl diventa invece circostanza diversa e politicamente singolare.

Frutto del correntismo esasperato che dilania il partito democratico e dell’anomala figura rappresentata dal sindaco di Salerno. Da un lato, infatti, c’è il percorso maturato nel corso dei mesi che hanno preceduto le elezioni di febbraio, settimane nelle quali De Luca ha prima tastato le potenzialità di Renzi, salvo poi schierarsi con Bersani in vista delle primarie Pd, sottolineando che il segretario era solo “il meno peggio” e che in fondo “è una brava persona”, dandogli così un peso specifico politico pari allo zero. Vinte le primarie e interpretate le regole che permettevano a Renzi solo di perdere con onore, c’era da cavalcare l’onda e arrivare alle elezioni. Fedele alla linea, dettata dall’inesistenza di alternative, De Luca ha continuato a puntare su Bersani, almeno ufficialmente. Quanto invece Bersani abbia puntato su De Luca è ancora tutto da verificare. Di certo nelle centinaia di tappe elettorali che hanno preceduto il voto, il segretario qualcosa avrà detto al sindaco di Salerno, come a quello di Padova o di Reggio Emilia o di chissà quale altro comune. Un’ora dopo la vittoriosa sconfitta del Pd alle elezioni, Bersani per De Luca era già diventato un rottame e il partito democratico un’ammucchiata di “anime morte” e di nullafacenti impegnati solo nel poltronismo più estremo e autoreferenziale.
Fin qui i fatti, che descrivono da soli anche le tante contraddizioni vissute ed interpretate dallo stesso De Luca e che si sommano a quelle che il Pd si porta dietro da sempre. I tempi lunghi e le figuracce rimediate in Parlamento per l’elezione del Capo dello Stato hanno fatto il resto, finendo per destituire Bersani e dare spazio a Letta. Con quest’ultimo chiamato a saldare anche i conti lasciati aperti dal segretario in giro per l’Italia. Eloquente il confronto tra i due poche ore prima che Letta sciogliesse la riserva. Tre ore fitte per depennare nomi dall’agendina e verificare numeri di telefono in rubrica.
Perché se in gioco c’è sicuramente il futuro del Paese, è in ballo anche la sopravvivenza stessa del Pd. O meglio del Pd così come si è presentato alle elezioni, impegnato più ad arginare Renzi che Berlusconi. Il copione è lo stesso e verrà infelicemente replicato anche prossimamente dalla stessa compagnia. Della quale, forse suo malgrado, fa parte anche Vincenzo De Luca, al quale a stento i democratici campani hanno fatto gli auguri per il nuovo incarico di governo, limitandosi al bon ton e alle frasi di circostanza. Di certo più sinceri gli attestati venuti dal centrodestra, con la malizia che contraddistingue i veri nemici dal fuoco amico.
Insomma, la nomina del sindaco di Salerno a viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti non sarà un premio alla carriera e neanche un contentino, ma al massimo un inevitabile compromesso tra correnti di partito.
A quanti poi credono che con l’andata a Roma si chiuda la parabola salernitana di De Luca consigliamo vivamente di non prenderla come ipotesi fattibile. Resterà sindaco di Salerno, anche senza il sigillo della carica, così come fu per Bassolino ministro. E se è vero che sta vivendo il momento più complesso della gestione sindacale, non avendo più soldi in cassa e dovendo affrontare grane legali di non poco conto derivanti dal suo iperattivismo edilizio, De Luca non conosce altri metodi di fare politica se non quelli che ha praticato in questi vent’anni. Nei quali ha accentrato e mai condiviso, adeguando il consenso politico all’azione amministrativa, divenuta manifesto ideologico prima ancora che funzione di servizio.
Salerno non ha un successore di De Luca, perché De Luca in questi vent’anni non lo ha mai creato, cercato, voluto. Succederà quindi a se stesso, dedicandosi per il tempo che durerà il governo ad un incarico che non crediamo abbia mai chiesto ma che ha comunque ottenuto. Perché alla fine dalle nostre parti è l’unico superstite, sopravvissuto a Bassolino e ora finanche a De Mita. Il simbolo di una stagione politica talmente nuova da avere sempre la stessa faccia. La sua.
©RIPRODUZIONE RISERVATA

pubblicato su “la Città” del 5 maggio 2013

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