Prove di forza e di debolezza

laziotardi Angelo Di Marino
Con il decreto salvaliste perdiamo anche l’ultimo brandello di politica condivisa. Sì, perché la presentazione delle candidature è un rituale dal quale è impossibile prescindere e che mai è cambiato in decenni di storia democratica e partecipativa. Le notti insonni passate a raccogliere firme, a declinare generalità, a copiare date di nascita ed indirizzi. Prima l’odore acre della carta carbone, in epoche più recenti quello del toner delle fotocopiatrici, sposato nell’aria con quello dei caffè buttati giù per restare svegli. Il coniglio dal cilindro sfilato dal governo, invece, ci fa capire come d’ora in poi basterà farsi vedere all’ultimo momento in tribunale, per fare i cavoli propri anche nelle successive 24-48 ore. Brutta storia.
Al di là delle feroci reazioni che ha scatenato il decreto (all’estero già ci spernacchiano allegramente sull’accaduto), siamo al cospetto di una prova di debolezza e non di forza da parte di Berlusconi. Strategicamente avrebbe avuto di certo più presa sul pubblico, televisivo e non, una ammissione di colpa con tanto di calcione nel sedere agli autori dei misfatti di Roma e Milano. E poi via ad indossare il cilicio del martire da sfoggiare fino al giorno del voto. Invece no, ecco la leggina ad hoc che schiaffeggia la ragione e cancella le colpe. Il tutto per un solo vero motivo: tutelare gli interessi dei candidati, non certo quelli degli elettori.
Insomma, l’ennesima occasione sciupata per riavvicinare la gente alla politica. Che idea ci si può fare davanti ad un teatrino come questo, recitato peraltro malissimo quasi fosse una macchietta? Solo una: quella di un Paese che merita di meglio.

pubblicato su “la Città” del 7 marzo 2010

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