E’ un’Italia che piace, l’Europeo sempre più vicino

Euro 2020: Italia-BosniaMarco Verratti esulta con Bernardeschi e i suoi compagni dopo il gol segnato contro la Bosnia a Torino (foto Ansa.it)

TORINO. È una Italia che piace quella di Roberto Mancini. La gara con la Bosnia è infatti un concentrato di quello che dovrebbe essere il calcio. Prima la sofferenza, gli slalom di Dzeko, le infilate in velocità accompagnate dai boati del pubblico ospite capace di trasformare lo Stadium in un rione di Sarajevo. Poi la rabbia, il coltello tra i denti e gli occhi della tigre, i garretti di Jorginho che guadano la mediana e il capolavoro di Insigne. Infine il trionfo, le lancette del cronometro che corrono più veloci, i falli tattici dei bosniaci in debito d’ossigeno, Mancini che si sbraccia dalla panchina e Verratti che insacca. La festa e i tre punti che spalancano le porte all’Europeo 2020, quello che inizierà proprio in Italia tra un anno. Un libro con tutti i capitoli al posto giusto, una sequenza da manuale dello sport. Senza esagerare, siamo sicuramente in presenza di una operazione riuscita: quella di restituire agli italiani una Nazionale che ha un gioco e anche un’anima. Non era facile riuscirci in un anno di lavoro, peraltro a singhiozzo e con le consuete tappe forzate di una stagione modellata a uso e consumo dei club. Ma è proprio a un club, a una squadra da torneo lungo, che questa Nazionale somiglia sempre di più. E qui il ruolo di un tecnico è sicuramente decisivo. “Bravi tutti. Non era facile rimontare il risultato. Abbiamo meritato la vittoria, conquistata con il sacrificio e con il cuore!”. Il tweet notturno con cui Roberto Mancini ha commentato la vittoria sulla Bosnia è un po’ il biglietto da visita del commissario tecnico: sacrificio, cuore, bravi tutti. Valori ed esaltazione del gruppo, ingredienti che nel calcio non passano mai di moda.

Enfasi a parte, sono i numeri a raccontare l’Italia dell’era Mancini. Quattro vittorie su quattro nelle gare di qualificazione agli Europei, 610 minuti consecutivi senza prendere gol, una sola rete subita nel gruppo “J” e ben tredici segnate. In poco più di dodici mesi, nelle tredici partite da commissario tecnico, un ruolino di marcia fatto di 7 vittorie, quattro pareggi e due sconfitte (peraltro contro i campioni del mondo della Francia e quelli d’Europa del Portogallo). Il cittì ha utilizzato finora 47 giocatori che sembrerebbero tanti in poco più di una dozzina di gare ma che, in realtà, rappresentano il numero giusto. Mancini ha iniziato collaudando, ruotando gli uomini e cementando il gruppo. Poi ha individuato una strada che passa attraverso il gioco e una serie di punti fermi: la catena di distribuzione Verratti-Jorginho-Barella, il centravanti-boa (o falso nueve) che crea spazi per gli inserimenti, la fantasia di Insigne, l’equilibrio in difesa tra esperienza (Bonucci e Chiellini) e freschezza (Emerson, Gianluca Mancini, Romagnoli), la sana competizione tra portieri (Donnarumma un passo avanti ma Sirigu sempre pronto). In fondo poche cose ma tutte frutto di scelte, dando priorità alle idee che camminano sulle gambe degli uomini prima ancora che alle contingenze. Un anno fa mancava il gol, poi è mancato il gol dei centravanti, adesso l’Italia segna più di tutti e vanno a rete anche gli attaccanti. E non è certo per caso.
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Articolo pubblicato dai quotidiani del Gruppo GNN giovedì 13 giugno 2019

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