Crisi e politica sul territorio: la guerra del sindaco De Luca

di Angelo Di Marino
Vincenzo De Luca è in campagna elettorale. Ma come, direte, da poco ne ha chiuso una e vuole subito farne un’altra? E soprattutto a cosa si candiderebbe mai? Innanzitutto quella che lo ha condotto al quarto mandato da sindaco di Salerno, l’ha considerata più una formalità che una sfida. E poi stavolta in ballo c’è davvero qualcosa di più. De Luca, che non perde occasione per ribadire le linee guida del suo progetto politico, sa bene che nell’aria ci sono troppi fermenti per non cavalcarli e farli propri. Da animale politico, ha capito che qualcosa succederà e che non si può far finta di niente.
Va premesso che De Luca le sue occasioni le ha già avute. E’ stato due volte parlamentare, si è candidato alla presidenza della Regione facendo a sportellate prima con i suoi che con gli altri, ha lasciato il consiglio regionale da capo dell’opposizione preferendo le Luci d’Artista a quelle della ribalta. Ma è soprattutto quattro volte sindaco, un primato che ne fa uno degli uomini politici più vicini alla gente, al popolo. Suo malgrado. Un vantaggio che rappresenta un patrimonio e che va oltre i partiti, gli schieramenti e le deboli ideologie che caratterizzano lo scenario contemporaneo.
Il sindaco di Salerno parla da ministro del Sud, da leader, da “governatore ombra” di una regione, la nostra, che versa in una situazione di stallo capace di paralizzare trasversalmente sia il settore pubblico che l’iniziativa privata in tutto il territorio. Ma recita anche frasi di Giovanni Paolo II, si professa “un uomo libero che crede in Dio” e non abbandona mai l’idea-progetto di “Campania Libera” che, a suo dire, è “un momento di aggregazione per chi non si riconosce nei partiti”. Del resto le pulsioni egocentriche di De Luca mal si abbinano al paludato, anzi paludoso modus operandi dei democratici che rispettano in pieno i canoni del vecchio Pci dove tutti erano “compagni” ma quando c’era da spartirsi cariche e potere ci si dimenticava anche dei parenti prossimi in nome del carrierismo più sterile e spietato.
Una recente classifica ha piazzato quattro sindaci del centrosinistra tra i primi cinque che riscuotono più gradimento. Si tratta di Fassino, Renzi, De Luca appunto e de Magistris. Nel gruppetto c’è il veronese Tosi, leghista fino al midollo ma anche uomo apprezzato e stimato trasversalmente. E che, manco a dirlo, va a braccetto proprio con il primo cittadino di Salerno. Bene, questo potrebbe rappresentare, a rigor di logica, un punto di (ri)partenza per il Pd, a cui mancano figure non omologate ai vecchi schemi di potere e in grado di arringare (e convincere) le folle che del partito democratico non si fidano. E invece no: state pur certi che non se ne farà nulla, visto che Fassino è stato ricollocato nella sua Torino, dopo anni di oblio trascorsi a vagare tra una fronda e una corrente, rimbalzato un po’ da tutti quelli che contano (?) nel partito di D’Alema. Il sindaco di Firenze, rottamatore per antonomasia, verrà progressivamente relegato al ruolo di correntista senza portafogli: beccherà un seggio in parlamento e nulla di più. Per non parlare dei due masanielli della Campania: De Luca e de Magistris, che a stento si salutano ma in fondo sono più vicini di quanto possa sembrare, si professano in rotta di collisione con i propri partiti, amorevolmente corrisposti dai “quadri” che nella politica nostrana nessuno ha mai voluto appendere a un chiodo.
Con chi allora De Luca farà politica nel futuro prossimo? Di certo ha una buona carta da giocare, quel “modello Salerno” che in apparenza sembra fatto solo di fontane, piazze, luminarie, giardini, rondò e cantieri ma che strategicamente è forse il più grande attrattore di interessi e capitali attualmente funzionante da Roma in giù. L’inesistente filiera decisionale di cui si circonda da anni, gli permette di dare velocità esecutiva alla macchina amministrativa, schiudendo le porte a chi, fiutando l’affare, può investire capitali sapendo di riceverne a ristoro agilità di manovra e visibilità. Sempre rispettando codici e leggi. Non è un caso se vanta più legami tra gli imprenditori (Montezemolo, Gallozzi, Mezzaroma, Lotito) che non tra i politici. E che venga additato ad esempio di buon governo da un ministro berlusconiano come Mara Carfagna che lo ha invitato a tenere una lezione di politica insieme a Formigoni e alla Polverini, altri due che non le mandano certo a dire al premier e ai suoi sodali. Se è vero, come buona parte dei parlamentari dà per scontato, che il voto anticipato sarà voluto e deciso dallo stesso Berlusconi nei primi mesi dell’anno entrante, ci sono però pochi margini per imbastire nuove coalizioni e inedite sigle partitiche. Da qui l’ambiguità con cui De Luca alimenta forzosamente il rapporto con il Pd che critica a tutto spiano ma che lui stesso rappresenta in pieno, detenendone il totale controllo in provincia di Salerno e non solo. Senza contare che la sua azione di governo locale portata avanti in questi anni risentirà sempre di più dei tagli e delle ristrettezze, con ripercussioni inevitabili anche sull’appeal del “modello Salerno” per i potenziali investitori.
E così agire dall’interno del Pd alla fine, vista la tempistica, potrebbe essere il modo per tenere ancora insieme i pezzi e guardare al futuro personale e politico con più serenità. Come ci insegna la storia, del resto, chi annuncia battaglia non è detto voglia fare la guerra. E soprattutto non ha alcuna intenzione di perderla.
© riproduzione riservata

pubblicato su “la Città” del 16 ottobre 2011

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