Olimpiadi: l’Italia a Tokyo con il cappellano. Don Gionatan De Marco: «C’è fede dietro le medaglie»

Gionatan De MarcoDon Gionatan De Marco, cappellano dell'Italia alle Olimpiadi di Tokyo (www.agensir.it)

TOKYO. Anima e corpo. Gli elementi essenziali in una Olimpiade. Lo sa bene don Gionatan De Marco, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale del tempo libero, turismo e sport della Cei, la Conferenza dei vescovi italiani. Don Gionatan, salentino di Tricase, 39 anni, è soprattutto il cappellano della squadra azzurra ai Giochi di Tokio. E’ stata la sua seconda esperienza olimpica, dopo quella a Pyongyang nel 2018.

Segnarsi prima di partire, levare le mani al cielo al traguardo, baci a santini o rosari tenuti nelle tasche. Ma allora questi sportivi credono davvero?

“Ne sono sicuro anche se non sto a guardare quante volte vanno a messa o se pregano. Di certo, la fede come pratica dimostrazione di culto serve a rendere bella la vita, proprio come lo Sport. Credente significa questo, vivere all’interno del Villaggio olimpico per stare bene con gli altri”.

Lei si sente un po’ come un coach. In fondo anche l’allenatore cura le anime…

“Penso che l’allenatore sportivo sia una delle figure migliori possibili possibili per immaginare Dio. L’allenatore come Dio porta sulle spalle dei giganti, fa una fatica enorme a tirar fuori tutto il talento che c’è in ognuno dei suoi ragazzi, fa un lavoro incredibile per misurare le loro possibilità e trovargli il posto giusto all’interno di un gruppo. Molto spesso però non viene mai premiato, non sale mai sul podio e fa sempre un passo indietro. Mettendoci la faccia quando invece le cose non vanno bene. In definitiva è come noi trattiamo Dio, lui si porta sulle spalle noi che pensiamo di essere dei giganti e lo chiamiamo in causa solo quando le cose poi non vanno troppo bene”.

A proposito di allenatori, ha scritto a Sacchetti, il ct del basket.

“Sì, di Sacchetti mi è piaciuto tanto il suo modo di accompagnare un gruppo nel trovare spazio all’interno di un mondo in cui il basket italiano non era più tra le prime. Mi è piaciuta la sua capacità di accompagnare un percorso che ha portato la squadra in pochi mesi ad arrivare a questi risultati e anche la capacità di aver detto che si può perdere tornando a testa alta nel proprio Paese. Credo sia la cosa più bella, perché quando un allenatore riconosce che hanno dato il massimo e il meglio è la cosa più bella che ci possa essere”.

Come l’è venuta in mente la lettera aperta? Ogni giorno ne scrive una in cui parla di uno dei componenti della spedizione olimpica azzurra.

“La lettera è innanzitutto un modo che a me piace tanto per comunicare. E poi con la lettera avvii una narrazione inclusiva dove sì c’è il riferimento a un nome a cui è indirizzata, ma in quella lettera ci possiamo sentire tutti coinvolti. La cosa che mi piace tantissimo è che c’è la dimostrazione quasi scientifica che la fede è una dimostrazione di vita vissuta. In fin dei conti, ogni lettera dimostra che il giocatore, il campione, l’allenatore facendo bene quello che deve fare, facendo bene non solo le esperienze di vittoria o l’esecuzione di una disciplina ma anche saper riconoscere il fallimento, come nel caso di Benedetta Pilato, permette a ognuno di vivere l’esperienza credente”.

L’ultima lettera è quella per Federica Pellegrini che lei conclude con un appello: “Permetterai al futuro di avere i piedi dei folli, coloro che hanno imparato, nella corsa della vita, a dare il massimo e, soprattutto, a dare il meglio!”.

“Sì, è una esortazione a Federica che deve scrivere il suo domani. Le ho chiesto di usare fogli bianchi di una vita non scopiazzata, e l’inchiostro rosso della passione. Le ho anche detto di non dimenticare di metterla in busta chiusa come garanzia di autenticità e di responsabilità. E di non dimenticare di affrancarla col francobollo della gioia”.

Gli azzurri che vincono le medaglie ai Giochi sono dei giovani italiani: è la nostra meglio gioventù?

“Non so se sia la meglio gioventù, di sicuro è la gioventù che cerca di non lasciarsi fagocitare dal nulla. Sono giovani, questo lo posso dire con certezza, che per stare qui hanno vissuto anni di sacrificio, anni di impegno. Nessuno sa che dietro a un nuotatore ci sono levatacce alle 5 del mattino per fare le vasche prima di andare all’università o a scuola o al lavoro. Queste sono cose che accadono veramente, e vedere come questo sacrificio diventi attaccamento al Paese, penso che sia il segno di una gioventù che non so se definire migliore ma che di sicuro definirei sana. E’ bello”.

L’Italia è tra i pochi che ha la figura del cappellano alle Olimpiadi. Come la vive?

“Con serenità ed entusiasmo. Serenità perché vivo giorni sereni, indipendentemente dalle cose che accadono. Il mio compito è quello di stare vicino, di ascoltare, di far sorridere i ragazzi. Dall’altra entusiasmo perché ho la consapevolezza di essere uno dei pochi fortunati a vivere questa esperienza, non con le lenti del tifoso ma con le lenti dell’animatore, non dello sportivo passionale ma dell’amico che vuole stare accanto a tutti”.

Una delle immagini-simbolo dei Giochi di Tokyo è sicuramente l’abbraccio di Tamberi a Barshim. Uniti sul podio e nella vita.

“Penso che chi ha osservato le Olimpiadi ha visto un mondo non so se più alternativo o più sovversivo rispetto a quello a cui siamo abituati. Perché il gareggiare non è mai sinonimo di lotta armata ma è sempre stato una via di amicizia. Mi ha colpito molto Vito Dell’Aquila, il primo oro azzurro qui a Tokyo, quando ha vinto e ha invitato tutti a fare un applauso all’avversario sconfitto. Piccoli segni del bene che non è qualcosa di utopico ma qualcosa di facilmente realizzabile. Anzi di già realizzato”.

Che sportivo è don Gionatan?

“Sicuramente atipico, non è uno sportivo tifoso, non è uno sportivo fanatico, è uno sportivo che sa che la vita è una partita. Che cerca in tutti i mondi migliori per trovare gli schemi di gioco per vincere, per giungere a star bene e sapersi e sentirsi felice. Guido l’ufficio nazionale della Cei che si occupa anche di sport ma lo faccio da prete, quindi con la passione che prima che alle vittorie pensa alla felicità delle persone”.

Sono state anche le Olimpiadi della sofferenza nell’era del Covid.

“Penso che questa Olimpiade dimostri che come nella vita l’inedito non deve farci paura, ciò che non era mai accaduto prima non ci deve scoraggiare, non ci deve far vedere tutto buio, tutto nero. Ma l’inedito può diventare fessura attraverso cui guardare all’impegno di ogni giorno, guardare la propria vita e il correre del mondo in modo diverso. Queste Olimpiadi hanno dimostrato tutto questo. E poi voglio fare una lode al popolo giapponese perché si è dimostrato capace di garantire una Olimpiade non facile e penso che questo sia un merito”.

C’è molto Sud del mondo in questi Giochi.

“Sud e Nord del mondo sono concetti che non esistono, li abbiamo inventati noi. Esiste il mondo. Continuando a fare queste differenze anche lessicali non aiuteremo mai a comprendere l’universalità di cui facciamo parte. L’Olimpiade è la testimonianza di come si viva in pienezza. Non condividiamo solo un tempo ma siamo anche cospaziali. Condividiamo gli spazi, quindi il mondo. Che non è fatto di tanti frammenti di terra ma è fatto da un unico pianeta che sta insieme e si presenta come un unico globo. E alle Olimpiadi è quello che si respira, al di là del colore delle divise c’è un mondo che vive l’amicizia dove non ci sono differenze di colori di razze, di religioni, non ci sono differenze tra nord e sud ma c’è l’unico legame che è l’amicizia e non le divisioni che ci siamo inventati nel corso della storia”.

Che cosa porta a casa nel suo bagaglio?

“Da un lato i gesti di amicizia degli atleti che fanno sentire la tua presenza significativa. Dall’altra porto le lacrime che ho visto, le lacrime delle sconfitte, le lacrime per non essere riuscito a dare il massimo, le lacrime di chi è riuscito a strappare una medaglia perché pensi che li ci sia il segreto della vita di ciascuno noi”.

Medaglia d’oro per Don Gionatan.

“Devo aspettare qualche anno prima di vincerla, so che non è impossibile raggiungerla”.

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