La banalità dell’Isis e la terribile normalità dell’orrore

IsisUn frame del video in cui un miliziano dell'Isis sfida la Gran Bretagna

Otto Adolf Eichmann, famigerato criminale nazista, era stato responsabile della sezione dell’ufficio centrale per la sicurezza del Reich.

Nel 1961 Hannah Arendt seguì le 120 sedute del processo Eichmann come inviata del settimanale New Yorker a Gerusalemme.

Eichmann aveva svolto una funzione importante su scala europea nella politica del regime nazista: aveva coordinato l’organizzazione dei trasferimenti degli ebrei verso i vari campi di concentramento e di sterminio. Processato da un tribunale israeliano, nella sua difesa tenne a precisare che, in fondo, si era occupato “soltanto di trasporti”. Fu processato e condannato a morte nel 1962.

La Arendt analizza come la banalità del male abbia accentuato la relazione fra la facoltà di pensare, la capacità di distinguere tra giusto e sbagliato, la facoltà di giudizio, e le loro implicazioni morali. Sostenne che “le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso”. La percezione dell’autrice di Eichmann sembra essere quella di un uomo comune, caratterizzato dalla sua superficialità e mediocrità.

Ciò che la Arendt scorgeva in Eichmann non era neppure stupidità, solo incapacità di pensare, cieca sottomissione agli ordini. Questi atteggiamenti sono la componente fondamentale di quella che può essere vista come una cieca obbedienza, incondizionata applicazione delle regole. Egli non era l’unica persona che appariva normale , ma vi era una massa compatta di uomini perfettamente “normali” i cui atti erano mostruosi. Dietro questa “terribile normalità”, il pericolo estremo della irriflessività.

Questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme, poiché implica che questo nuovo tipo di criminale, realmente “hostis generis humani”, “commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male”. Si tratta di un nuovo genere di male, il male assoluto, che, “non poteva essere a lungo spiegato e capito con malvagie ragioni di egoismo, avidità, bramosia, risentimento, sete per potere, e codardia”.

Niki Vendola, leader di Sel, intervistato il mese scorso dal giornale.it, commentando i tragici fatti che hanno sconvolto Parigi, dà dell’Isis proprio questa definizione: “Loro sono un oltraggio all’umanità. Colpiscono il sentimento fondativo dell’essere umano, per questo per me sono il male assoluto”.

Anche Barack Obama, dopo la decapitazione di Peter Kassing del novembre del 2014, ha definito l’atto “il male assoluto, commesso da un gruppo terroristico che il mondo considera, a giusto titolo, inumano”.

Secondo Loretta Napoleoni, economista ed esperta di terrorismo internazionale, “è l’Isis l’entità oscura che tutti i giorni ci serve il male assoluto all’ora del tg. E’ lo stato del terrore”. Ricorda in qualche aspetto proprio le tesi sui regimi totalitari già accennate ne “Le Origini di Totalitarismo” (1951) da Hannah Arendt.

L’essenza del potere totalitario, come quella dell’Isis, è il terrore, caratterizzato dalla tendenza a sostituire la legalità con l’uso arbitrario della violenza e della repressione. Il fine non è altro se non quello della creazione di una società purificata con la conseguente eliminazione del “nemico oggettivo” della storia e della natura. Il fine ultimo è la creazione di un’umanità che sacrifica le parti per il tutto.

In questo Stato consapevolezza e innocenza sono concetti senza alcun significato. “Il terrore esegue queste sentenze di condanna, e davanti ad esso tutte le parti in causa sono soggettivamente innocenti: gli uccisi perché non hanno fatto nulla contro il sistema, e gli uccisori perché non assassinano realmente, ma si limitano ad eseguire una sentenza di morte pronunciata da un tribunale superiore”.

Sottomessi, dunque, ad una legge incontestabile. Islàm, d’altronde, è un sostantivo verbale traducibile proprio con «sottomissione, abbandono, consegna totale [di sé a Dio]» ,che deriva dalla radice aslama, congiunzione causale di salima («essere o porsi in uno stato di sicurezza»), ed è collegato a salām («pace»). Nel linguaggio religioso, il concetto è traducibile con la parafrasi: «Entrare in uno stato di pace e sicurezza con Dio attraverso la sottomissione e la resa a Lui».

Ma l’Isis, sia ben chiaro, si sconfigge non chiamandolo Stato islamico. È molto importante non regalare un universo così esteso, complesso come l’islam alla barbarie del sedicente califfo. A prevenire il male è l’uso del pensiero, che ha dunque la potenzialità di mettere l’uomo, né sottomesso, né impotente, di fronte ad un quadro bianco senza bene o male, senza giusto o sbagliato, ma semplicemente attivando in lui la condizione per stabilire un dialogo con se stesso e permettendogli di deliberare un giudizio circa tali eventi.

In un trattato scritto per un dibattito su “Eichmann a Gerusalemme” nel Collegio Hofstra nel 1964, la Arendt ha affermato che banalità significa senza radici, non radicato. “La mia opinione è che il male non è mai radicale, ma soltanto estremo, e che non possegga né la profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare tutto il mondo perché cresce in superficie come un fungo. È il pensiero che cerca di raggiungere la profondità, andare a radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua banalità”.

Questa è la banalità dell’Isis.

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