Legalità: studenti e carcerati a confronto a Salerno

È stato il primo appuntamento di un lungo percorso comune che gli studenti della Consulta provinciale e i detenuti del carcere circondariale di Fuorni hanno deciso di intraprendere assieme. Perché le iniziative in programma sono ancora tante e, oltre ad ulteriori dibattiti, sono state pianificate anche giornate sportive, con un torneo di calcetto tra studenti e detenuti, e una gara culinaria, che metterà in competizione amichevole le ospiti del carcere e le studentesse.
Insomma si apre un nuovo modo di dialogare tra la scuola e la realtà penitenziaria, fino a qualche anno fa inimmaginabile. Il via al cammino di legalità è stato dato ieri mattina nella sala teatro della casa di detenzione, con la visione del film (purtroppo senza la possibilità di vedere il finale, a causa di un inconveniente tecnico) “Certi bambini”, tratto dall’omonimo libro di Diego De Silva, che non ha voluto far mancare la sua presenza. Con lo scrittore, hanno preso parte all’iniziativa, che rientra nel progetto “I dialoghi di legalità”, patrocinato dal Comune, il procuratore Franco Roberti, i giornalisti Angelo Di Marino e Gabriele Bojano, rispettivamente direttore de “la Città” e responsabile delle pagine di Salerno del “Corriere Del Mezzogiorno”, e Simone Buonomo, presidente consulta provinciale. Il provveditore Renato Pagliara ha portato i saluti del ministro è stato mentre il direttore del carcere, Alfredo Stendardo, ha fatto gli onori di casa. A coordinare l’iniziativa e a condurre il dibattito è stata Ketty Volpe, esperta Miur e referente della Consulta.
«Il nostro rammarico – ha evidenziato un detenuto rivolgendosi agli studenti nel dibattito seguito alla visione – è quello di non aver mai studiato». Perché la cultura, assieme ai sogni, può essere il grimaldello per scardinare quel gap cha ancora esiste nella nostra regione. Di questo è convinto il direttore Di Marino, che ha sottolineato come «il maggior timore sia quello che i giovani d’oggi abbiano smesso di sognare». E proprio la mancanza di obiettivi fa sì, come ha rimarcato Bojano, che i «giovani invece di vivere preferiscano sopravvivere».

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