Luci d’artista a Napoli: il presepe e il pastore Sincero

di Angelo Di Marino
Ingenuamente avevamo creduto davvero in un abbraccio tra Salerno e Napoli. Ancora una volta, siamo rimasti delusi. L’occasione sembrava di quelle propizie, anche perché sotto Natale si diventa sempre più buoni. E invece no. Neanche il presepe riesce ad accorciare quella cinquantina di chilometri che separano la capitale del Sud dalla città di San Matteo. Quello che non abbiamo visto ieri a San Gregorio Armeno rappresenta però la puntata meno riuscita dell’infinita quanto sterile contrapposizione tra le due città.
Vincenzo De Luca è molto apprezzato a Napoli, soprattutto nei quartieri popolari che, per tradizione, votavano Lauro prima e Movimento sociale poi, salvo riconvertirsi al postcomunismo bassoliniano in epoche più recenti. Artigiani, commercianti, ambulanti e molti senza lavoro lo ritengono un sindaco che sarebbe adatto come nessun altro per la Napoli che soffre e ha quattro soldi in tasca. La testimonianza di questo l’abbiamo avuta ieri tra San Gaetano e i Tribunali, dove il nome di Salerno veniva declinato come quello di Arcadia e del suo mitologico civilizzatore. Peccato che il tanto atteso protagonista, alias De Luca, abbia preferito alzare il piede dall’acceleratore, dopo averlo tenuto ben pigiato lungo tutta la vigilia dell’evento che ha portato le Luci d’artista nella strada dei presepi. Vivendo l’antefatto forse come il pastore Sincero, protagonista di un’altra Arcadia, quella scritta da Jacopo Sannazaro che la pubblicò giusto a Napoli agli inizi del ’500. In quell’opera il protagonista prima fugge da Napoli, deluso dalla politica, poi vi ritorna d’impeto per ritrovare (morta) la donna amata, proprio mentre crolla la “politica dell’equilibrio” venuta meno con l’addio terreno di Lorenzo il Magnifico. Sembra una cronaca dei nostri tempi, magari scritta all’indomani delle Regionali del 2010 e alla vigilia delle Politiche del 2013, invece è il frutto della fervida mente di uno dei maggiori umanisti italiani, cresciuto per uno strano scherzo del destino proprio tra Napoli e la provincia di Salerno più di cinque secoli fa.
La stizza con cui il non più tanto amato sindaco di Napoli ha sbarrato la strada all’esperto collega salernitano, prudentemente tenutosi a distanza di sicurezza dal Vesuvio e da Masaniello, evidenzia la frattura profonda e mai sanata che nasce all’alba della candidatura di De Luca alla Regione, fieramente osteggiata da de Magistris, arginato all’epoca solo dal ruspante Di Pietro che diede il via libera all’oppositore di Caldoro. A distanza di tempo, personaggi e ruoli si mischiano, uscendone francamente tutti indeboliti.
De Magistris ha rappresentato un momento di reale rottura con il passato, e la sua elezione si identifica con il profondo mal di pancia di una Napoli irrequieta nella sua scontentezza atavica, frutto di ribellioni clamorose ma anche di secolari sottomissioni al potere e al degrado politico e morale che hanno lacerato una città senza pari nel mondo.
E la storia si ripete, visto che a poco più di un anno dal trionfo rivoluzionario del magistrato che lottò contro Mastella, buona parte di chi lo ha votato dichiara di non gradirlo più. «Un populista», urlano senza voce gli stessi che voltarono faccia e spalle a Bassolino, sceso al capolinea. «Un populista», bisbigliano a Salerno i detrattori (spesso occulti, in tanti occultati) di De Luca, nel frattempo osannato dai napoletani dei vicoli stretti e affollati dei Tribunali e della Medina. La storia di Partenope è fatta così: non per nulla il suo fascino risulta fatale per il forestiero che bene fa a tenere a mente il detto “vedi Napoli e poi muori”.
©RIPRODUZIONE RISERVATA

pubblicato su “la Città” dell’11 novembre 2012

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