Ma l’Italia non ha chiuso le centrali nucleari dopo il referendum ’87

SALERNO. E’ l’Italia dei paradossi. Il nostro paese, infatti, non è mai uscito dal nucleare, si è solo limitato a spegnere gli impianti all’indomani del referendum abrogativo del 1987. Da quasi venticinque anni, quindi, una imponente struttura fatta di tecnici e addetti viene regolarmente pagata per tenere fermi e presidiare gli impianti di Latina, del Garigliano, Trino Vercellese e del Caorso. Completano il quadro anche impianti più piccoli, come quelli di Palermo, della Trisaia, di Saluggia e di Pavia. Dietro sigle a molti sconosciute si celano reattori e centrali, inattive ma non chiuse. In una intervista rilasciata al quotidiano il Centro, Giovanni Damiani, già direttore generale dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente, ha tra l’altro dichiarato: «Le grandi centrali sono ancora lì, sempre più fatiscenti e per questo mediamente o molto pericolose, con stuoli di personale pagato per fronteggiarne il degrado».
Stringendo il discorso, siamo noi a pagare per il nucleare già adesso che neanche una lampadina viene accesa nel nostro Paese con energia atomica prodotta nel nostro territorio. I programmi di smantellamento sono stati predisposti dalla Sogin, società finanziata dal ministero del Tesoro attraverso un fondo che viene alimentato dall’equivalente di una lira per ogni kilowattora che consumiamo.
«E’ difficilissimo trovare infomazioni corrette e tentativi di avviare un dibattito serio sul nucleare in Italia – ha detto ancora Damiani a “il Centro” – E che dire poi dei messaggi di pura propaganda espressi da politici o accademici in carriera che, per la loro contradditorietà, stanno producendo sconcerto tra i cittadini a cui viene impedito di orientarsi in scelte consapevoli».
Impietosa l’analisi anche sull’apparente convenienza nel produrre in proprio energia nucleare: «Nessun ente farà mai centrali atomiche investendo fondi del proprio bilancio, semplicemente perché l’energia elettrica prodotta da fonti nucleari è costosissima, antieconomica e può essere fatta solo se i deficit vengono coperti dallo Stato. Vi pare sostenibile che il nuovo nucleare italiano costi 30 miliardi di euro, per ottenere appena il 4% in più di sola energia elettrica tra vent’anni?». Un interrogativo che avrà risposta quando si andrà a votare per il referendu. (a. d. m.)
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pubblicato su “la Città” del 20 marzo 2011

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