Piano ospedaliero e tagli alla sanità: l’importante è la salute

di Angelo Di Marino
E’ di pochi giorni fa la notizia di uno scippo di fondi alla sanità salernitana. I soldi, destinati a colmare parte del debito nei confronti delle strutture private, sono serviti invece a pagare gli stipendi dell’Asl 1 di Napoli. Senza tirare fuori dal baule il secolare dualismo che, spesso goffamente, contrappone Salerno a Napoli, partendo dalla Fontana delle paperelle fino ai giorni nostri, si tratta in realtà dell’ennesima incongruenza del sistema. Sapevamo tutti che la questione sanità sarebbe stato il banco di prova per il nuovo governo regionale e così è stato. Dopo aver gettato su Bassolino le croci di una gestione malsana come poche, al governatore Caldoro sono servite forti dosi di pazienza per evitare la prima crisi della sua giunta. A farla da padroni i veti e gli inciuci registrati già nella gestione precedente e in quella prima ancora e via di questo passo fino alla notte dei tempi.
Il tutto amplificato dal megafono delle correnti che nella spartizione dell’amara torta intravedevano nuova linfa per la loro irrefrenabile autoreferenzialità. E così, dopo un bel po’ di giunte andate a vuoto e vissute tra gli spifferi nonostante le porte chiuse, i sette nomi dei nuovi commissari sono passati. Con la consueta benedizione di De Mita. Un rituale che fa parte ormai della tradizione nostrana, insieme alla zampogna, il presepe, gli struffoli e la milza a San Matteo.
Ma cosa cambierà, d’ora in poi, per il cittadino campano e per giunta malato che andrà ad imbattersi nel sistema sanitario pubblico? Niente, purtroppo. Come ammesso dallo stesso Caldoro ci vorranno tutti i cinque anni del suo mandato per avviare e mettere a regime il nuovo Piano ospedaliero. Salvo imprevisti, inciampi e quant’altro può accadere in un arco di tempo che per la nostra politica è pari ad un’era geologica. La Regione ha, di fatto, tagliato l’ospedale di Castiglione, quello che abbiamo atteso più di trent’anni e che rischia di diventare l’ennesimo record (negativo) della nostra sanità.
Nel frattempo, la Corte dei Conti ci ha regalato un po’ di cifre da leggere sotto l’ombrellone a Ferragosto. I debiti degli enti locali (Comuni e Province) costano ad ogni italiano 1300 euro l’anno. Al momento, l’indebitamento è salito a 62 miliardi di euro: roba da far girare la testa. Inutile sottolineare che il grosso del buco è causato dalla spesa sanitaria
che, a livello regionale, assorbe il 73% delle risorse. Sono numeri che non danno scampo. In Campania, ma non solo, resteremo indebitati almeno per un paio di generazioni, a patto che d’ora in poi tutto fili liscio. Che è mera utopia, ovviamente.
Prevedere un sistema sanitario finalmente funzionante e competitivo risulta esercizio da visionari, anche e soprattutto in proiezione futura. Al povero cittadino-paziente saranno riservate sempre meno opzioni, perché nel
frattempo dovrà essere colmato il disavanzo e stretta la cinghia. Lasciando alla sensibilità dei tanti che operano con dedizione e professionalità nelle corsie e negli ambulatori delle strutture pubbliche l’arduo compito di metterci una pezza. E salvare vite umane, che poi dovrebbe essere lo scopo unico di tutti, dai politici agli addetti ai lavori.
A questo punto, giusto per guastarci ancora un po’ l’umore, non osiamo pensare a cosa potrebbe accadere in regime di federalismo fiscale, due parole che tanto piacciono al trio Bossi-Berlusconi-Tremonti. La Campania non è in grado di stare in piedi sulle proprie gambe, purtroppo. Del resto, lo stesso Caldoro spera nel rilascio dei fondi Fas prima dell’autunno, distratti dal governo perché non era stato rispettato il rigore dei conti.
Le nostre urgenze finirebbero, fatalmente, schiacciate dallo strapotere leghista, divenuto nel frattempo la spalla forte di questo governo. Come andrà a finire? Male, se si vota dopo l’estate. Perché il tempo è poco, finendo così per far aumentare ancora di più il consenso dei leghisti. E un Paese tutto Nord e niente Sud sarebbe una sconfitta senza più appello.
© riproduzione riservata

pubblicato su “la Città” dell’8 agosto 2010

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