L’Inter di Mourinho, l’uomo senza cuore che sa solo vincere

di Angelo Di Marino
L’Inter ha vinto ed è giusto così. E’ la squadra più forte e, quest’anno, si è trasformata anche nel gruppo più forte. A differenza del passato recente, i nerazzurri hanno dato prova in questa stagione di essere un corpo unico, capace di affrontare i tornanti più severi, così come le salite che ti tolgono il fiato e le discese scivolose e accidentate.Merito di Mourinho, certo. Ma anche di chi lavora con lui, uno per tutti quel Lele Oriali che Enzo Bearzot tirò fuori dal cilindro ai Mondiali del 1982 e si rivelò decisivo a centrocampo, insieme al compagno di squadra Marini e a uno super come Tardelli. Anche all’epoca, aveva più fiato e cervello che piedi. L’Inter di Moratti potrà stare antipatica quasi come la Juve di Giraudo e Moggi, ma sotto l’aspetto gestionale è club di livello europeo senza dubbio alcuno.
La festa campionato nerazzurra ha proposto un paio di istantanee che meritano la sottolineatura. La prima è il volto sorridente di Balotelli che, per una volta, sembrava davvero il ragazzino diciannovenne che dovrebbe essere tutti i giorni. Niente broncio, nessuno mandato a quel paese, la maglietta ben salda sulle spalle. Tutt’altra storia rispetto ad una stagione in cui ne ha combinate davvero troppe. Ecco, se questo talentuoso cavallo pazzo ripartisse dai sorrisi di ieri, ne trarrebbe giovamento lui stesso per primo, poi l’Inter e in fondo tutto il calcio italiano che ha bisogno di giocatori così.
La seconda polaroid ritrae il volto di Mourinho. Occhi lucidi, barba lunga, sguardo smarrito. Lontano anni luce dal gesto delle manette o da altre mille esibizioni da capopopolo, che peraltro ne hanno fatto un personaggio anche in Italia. E’ fin troppo chiaro che lascerà Milano, del resto non potrebbe che essere così. I grandi club, Real Madrid in testa, programmano la stagione tra Natale e metà gennaio, ratificando gli accordi importanti ben prima della chiusura di stagione. Non sappiamo se Mourinho ha davvero un cuore, di certo in petto dovrà trovare un piccolo spazio per l’affetto (e il rispetto) che la gente nerazzurra gli ha dimostrato in questi mesi. Facile, direte voi, visto che è uno che vince. Certo, facile. Ma questo anomalo prototipo di manager calcistico, dalla meticolosità maniacale e dall’aplomb alla James Bond, ha davvero messo il suo sigillo a questa stagione nerazzurra. Scorrendo il diario del campionato, infatti, ci si accorge che ha affrontato (e risolto) il caso Balotelli, rigenerato gente come Cambiasso, Samuel e Lucio, ridato nuova linfa all’eterno Zanetti, ha fatto uscire da un pericoloso tunnel Julio Cesar dopo l’incidente stradale con la sua fuoriserie, ripescato Chivu che aveva la testa rotta (nel senso letterale del termine), accolto Pandev che a caratterino pure sta messo bene, facendolo giocare quando serviva alla squadra e non al suo agente. Senza contare il lavoro fatto su Milito, Maicon, Sneijder ed Eto’o, ormai veri e propri uomini squadra. Ma il perfido capolavoro di Mourinho è stato l’aver contribuito in maniera determinante ad alzare il livello dello scontro con la Roma, tolto dal campo e sbattuto sui giornali, in televisione, alla radio. Una corda tirata fin quasi allo spasimo, in un gioco che ha fatto più male ai giallorossi (vedi calcione di Totti a Balotelli) che sono caduti proprio sui nervi, prima ancora che sotto i colpi della fatale Sampdoria. Unica nota veramente stonata la mancanza in squadra di italiani. Infortunatosi Santon, si è visto poco (e male) solo Materazzi, mentre Toldo ha marcato il cartellino e nulla più. Balotelli a parte, ci vorrebbe un po’ d’Italia in più per rendere questa Babele calcistica qualcosa di autenticamente nostrano.
E adesso manca l’ultimo atto, quello più importante. La Champions da conquistare a Madrid, per sancire definitivamente il ricongiungimento tra i due Moratti, padre e figlio. Una storia che si ripete: il galantuomo Angelo aveva Helenio Herrera in panchina, istrionico ed irripetibile inventore di calcio la cui parlantina incantava mezzo mondo, facendo incaz… l’altra metà. Massimo ha Mourinho, che altri non è se non la versione aggiornata al terzo millennio di HH e delle sue lucide follie. Vite in prima pagina, che aspettano solo il titolo più bello da pubblicare domenica mattina. Poi via, verso nuove avventure. E’ già scritto nel dna di tipi così. Meglio che gli interisti si rassegnino.

Prossimamente: Il Napoli di Mazzarri, un patrimonio da tutelare

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