De Luca molli Roma: non fa per lui

di Angelo Di Marino
Trovare il bandolo dell’intricata matassa viceministeriale di Vincenzo De Luca è davvero difficile. La chiamata a Roma del sindaco di Salerno, come è noto, affonda le sue radici nella campagna elettorale per le primarie del Pd, più o meno un anno fa. Dopo aver saggiato Renzi, il primo dei cittadini salernitani si schierò apertamente con Bersani, con quest’ultimo convocato a Salerno per un meeting nel quale De Luca gli consigliò di eliminare il sigaro e di darsi un tono meno trasandato nelle occasioni pubbliche. Dietro l’abbraccio, il patto con l’allora leader dei democratici: un posto nel governo una volta vinte le elezioni. Bersani, in un raro esercizio di autolesionismo ancora oggi difficilmente spiegabile, riuscì poi a battere Renzi e a perdere le elezioni. Nonostante lo sperticato appoggio della Salerno deluchiana, richiamata a fare da spalla forte anche nel secondo e più delicato round, quello delle politiche, rivelatosi poi un flop.

Sappiamo come sono andate le cose: Bersani fallì tutti i tentativi concessigli, fino all’abdicazione e all’incarico affidato a Letta. Per giorni, anche se solo a Salerno, ci si aspettava il nome di De Luca tra i ministri del governo delle larghe intese. Con il passar delle nomine, riguardanti peraltro due sindaci del Pd, si consolidava la certezza che del primo cittadino di Salerno si fossero persi i recapiti telefonici e gli indirizzi, in modo da poterlo convocare per offrirgli il dovuto. In realtà, quella che Bersani aveva compilato prima del voto non era più una lista, bensì una sorta di brogliaccio con annotati i debiti da saldare. Nell’ultimo giorno utile per le nomine di sottogoverno, e dopo un faccia a faccia (l’ultimo consegnato alle cronache) tra Letta e Bersani, ecco spuntare a fatica il cognome tanto atteso: De Luca, viceministro (sottosegretario) alle Infrastrutture e Trasporti. Dicastero affidato a Maurizio Lupi, democristiano da sempre e berlusconiano per necessità.
Da allora l’oblio. Aggravato dalla palese incompatibilità tra ruolo di governo e di amministratore. Con il consiglio comunale di Salerno goffamente abile nel prendere tempo, in attesa di lumi dalla stanza delle Luci. Negli ultimi giorni, poi, lo scontro con Letta, le frasi al vetriolo del sindaco-viceministro contro il premier, la sfiducia chiesta dal Pdl e l’insopportabile chiacchiericcio della politica politicante che De Luca da sempre professa come unica nemica. Sua e della gente.
Fin qui i fatti. Una sola considerazione: De Luca è un uomo maturo, esperto e scafato sia politicamente che umanamente. Di certo non poteva sfuggirgli la riottosità con cui Letta lo aveva chiamato a Roma. E l’altrettanto evidente insofferenza che gran parte del Pd dimostra senza pudore alcuno quando in ballo c’è il sindaco di Salerno. E se è vero che anche per lui l’ambizione è preponderante rispetto alla ragionevolezza, non si può far finta di nulla e recitare il ruolo d’invitato dell’ultimo momento. «Sono stato chiamato a Roma per rappresentare il Sud», ha anche detto in queste settimane De Luca. Peccato che nessuno, al di là dei ristretti confini municipali di Salerno, lo riconosca e voglia come paladino del Mezzogiorno. Che poi lui impersonifichi una realtà amministrativa più fattuale di altre al Sud è un’altra cosa. Non bastevole per un vero incarico di governo, però. Se è vero, come dice De Luca, che «c’è chi combatte le lobby e chi invece evita di farsele nemiche», riferendosi a Letta e Alfano, è altrettanto vero che lo stesso sindaco di Salerno è ormai prigioniero della sua “lobby” personale (senza fini di lucro, per carità), costruita in vent’anni di potere amministrativo e politico ma ripiegata su se stessa, incapace di aprirsi e confrontarsi. Insomma, non è lui il ministro del Sud. Meglio risparmiare i soldi del treno per Roma, potrebbero servire per pagare la metropolitana qui a Salerno. L’unico posto dove, anche volendo, non riesce a perdere.
©RIPRODUZIONE RISERVATA

pubblicato su “la Città” del 13 ottobre 2013

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