Tra Atrani e Pollica: un popolo nella trincea

di Angelo Di Marino
La nostra terra piange. A dirotto. Come la pioggia che, in un pomeriggio di fine estate, ha trasformato un subdolo torrente in una cascata di fango. Devastando uno degli spigoli di mare più belli del mondo, Atrani. Un paesino sommerso dalla melma, una spiaggia divenuta penisola, auto e masserizie spazzate via dalla furia dell’acqua, in un vortice maledetto che ha inabissato una giovane vita.
A dirotto. Come le lacrime di Pollica e della sua gente, per un giorno diventata capitale di quella parte d’Italia che si riconosce unita almeno nel dolore. Un sindaco ucciso e il suo popolo che non riesce a darsi pace e vorrebbe avere tra le mani l’uomo, o la bestia come l’ha chiamata il vescovo Favale, capace di annientare un pescatore padre di famiglia con nove colpi di pistola. Ma non di cancellare le sue idee, il suo amore, il lavoro portato avanti in tanti anni.
Atrani e Acciaroli sono le due facce della stessa medaglia. Quella che il Sud si appunta sul petto come si fa con i caduti in guerra, quando ai familiari in lacrime non resta che consolarsi accarezzando una divisa inamidata ma inanimata. Toccando e ricordando, alla ricerca disperata di un’anima da custodire gelosamente nel cuore e da far rivivere nei piccoli gesti quotidiani e negli affetti più cari.
Ecco, questo è il Sud. Da anni contiamo le vittime, lottiamo con le belve che uccidono, ci inchiniamo alla forza della natura manipolata e deformata dall’uomo e dal malaffare. Non sarà una guerra, di certo siamo in trincea. E combattiamo difendendoci, come fanno i soldati delle retrovie che non hanno mai visto un generale in faccia. Senza arrenderci, facendo leva sull’orgoglio e la testardaggine, uniche vere ricchezze dalle parti nostre. In circostanze tragiche come quelle di questi giorni, si misurano anche le distanze. Tra Nord e Sud, bene e male, ricchezza e povertà. Scoprendo che c’è gente che soffre nel vedere certe cose. “Io sono di Pollica”, il simbolico cartello contro l’illegalità alzato dai lettori di questo giornale, è una chiara testimonianza di tutto questo. Centinaia di persone, da ogni parte d’Italia, scrivono della loro voglia di normalità, del malessere che provano davanti a un omicidio come quello di Vassallo, del disturbo al cospetto di quanti si girano dall’altra parte. E’ un Paese sano quello che viene fuori da questa piccola istantanea, anche se insoddisfatto dal presente e timoroso del futuro. E’ il popolo che lavora, studia, soffre e sbuffa tutti i giorni. Evidentemente lontano da quegli imbarazzanti siparietti televisivi in cui le risposte della gente sono uguali a quelle declinate dagli italiani degli anni Quaranta nei cinegiornali in bianco e nero.
E allora quale sarà la vera Italia? Noi ci aggrappiamo alla speranza che sia quella che sta con Pollica ed Atrani. Perché solo così il futuro potrà essere migliore del presente.
© riproduzione riservata

pubblicato su “la Città” del 12 settembre 2010

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